domenica 13 aprile 2008

0

"Mussolini non ha mai ucciso nessuno,
mandava gli oppositori in vacanza al confino".


Silvio Berlusconi

sabato 12 aprile 2008

-1

"È il bugiardo più sincero che ci sia,
è il primo a credere alle proprie menzogne.
È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore.
Berlusconi non delude mai:
quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.
Ha l'allergia alla verità, una voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne.
'Chiagne e fotte', dicono a Napoli dei tipi come lui.
E si prepara a farlo per cinque anni".

Indro Montanelli

venerdì 11 aprile 2008

-2

"Berlusconi è il più grande piazzista del mondo.
Se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte,
farebbe scappare la voglia di urinare a tutt'Italia".

Indro Montanelli

giovedì 10 aprile 2008

-3

"La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto:
è la peggiore delle Italie che io ho mai visto
e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime.
L'Italia della marcia su Roma, becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze.
L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta.
Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai.
Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo".

Indro Montanelli

venerdì 18 gennaio 2008

2 righe


Come i più arguti tra i lettori (rimasti) avranno notato, non aggiorno più il blog da un pezzo. Tra esami universitari (pochi) e scazzo (tanto), ho messo da parte il blog per ora. Continuo comunque a scrivacchiare sul periodico della Statale di Milano Orizzonte universitario, e sul relativo sito. Se ogni tanto date un'occhiata al sito... grazie! In questo periodo mi occuperò in particolare delle interessanti primarie americane, come nel pezzo sottostante. Un saluto a tutti i blogger che passano ancora di qui!
A presto,
l'intruso

Le parole chiave delle primarie 2008

Novità
Eh sì, perché per notare che tra i candidati (democratici) ci sono un paio di novità assolute rispetto al passato, non occorre studiarne i programmi o ascoltarne i discorsi; basta uno sguardo. Hillary Rodham Clinton: donna. Barack Hussein Obama jr: nero. Un candidato di sesso femminile e un candidato di colore: se uno dei due arrivasse allo studio ovale, sarebbe la prima volta nella storia degli Stati Uniti. Soltanto una curiosità? Insomma. Perché se è vero che il fascino che suscita l’idea di avere finalmente un presidente woman o un presidente balck è grande, è indiscutibile che l’America non si baserà su sesso o colore per scegliere in quali mani consegnare il proprio paese. Non bisogna però sottovalutare il fatto che, in caso di incertezza, gli elettori potrebbero farsi “condizionare” anche da questi fattori. Non a caso di recente Hillary e Barack hanno fatto a cazzotti discutendo su Martin Luther King, personaggio ovviamente carissimo all’elettorato di colore. E bisogna anche ricordare che molti critici e osservatori hanno attribuito l’inaspettato successo dell’ex first lady in New Hampshire alle lacrime versate davanti alle telecamere, che avrebbero conquistato il voto di molte donne colpite dal lato femminile finalmente manifestato dalla candidata di ferro. Non sappiamo se sia effettivamente così, così come non sapremo mai se le lacrime fossero spontanee oppure architettate, come qualche opinionista ha ipotizzato. In quel caso la Clinton dovrebbe candidarsi per l’Oscar piuttosto che per la presidenza.
Sotto la voce “novità” non compaiono candidati repubblicani, perché lì di donne o neri non se ne vedono manco col binocolo.
Cambiamento
Change, change, change. La parole d’ordine della campagna elettorale è questa: cambiamento. Il primo a usarla è stato lo sbarbatello Obama dopo aver vinto in Iowa. Subito dopo però tutti i candidati, sia democratici che repubblicani, se ne sono impossessati. E allora via con una pioggia, anzi una cascata di “change” in tutti i discorsi. Effettivamente dopo il doppio mandato bushiano, la voglia di voltare pagina serpeggia tra l’american people. Il candidato che sa usare meglio però questa parola rimane Barack, personaggio accompagnato da un’aurea di freschezza cristallina e aiutato dall’anagrafe. Sulla sponda repubblicana, nessuno sembra reggere il confronto col rivale democratico in materia di cambiamento, sebbene Mitt Romney dopo l’esordio trionfante di Obama non faccia altro che ripetere “change, change, change”, qualcuno dice anche durante il sonno. Ma nemmeno la collega democratica sembra poter intaccare la leadership dell’abbronzato rivale. Se dici Clinton, come fai a non ricollegarti al passato, alla politica tradizionale, ai soliti noti? Appunto.
Imprevedibilità
Durante questa prima fase delle primarie, i sondaggi, e, di riflesso, i media, non ne hanno azzeccata mezza. Hillary favorita in Iowa? Zac! Obama vince davanti a Edwards e la Clinton è solo terza. E vabbè, allora Barack trionferà anche in New Hampshire. Come no! vince la signora. E in campo repubblicano non va meglio: i favoriti dovevano essere Romney e Giuliani. E invece il primo si è salvato grazie al successo nel terzo round, e il secondo ha finora ottenuto meno punti percentuali del nostro partito pensionati.
Tensione (scampata)
Alle tre parole chiave sopra citate se ne sarebbe potuta aggiungere una quarta: tensione. Qualche giorno fa infatti una dichiarazione poco felice della Clinton aveva fatto infuriare la comunità nera. L’ex first lady aveva dichiarato che il sogno di M.L. King si è realizzato grazie all’ex presidente Lyndon Johnson. Insomma, come dire che Johnson fece più di King, che contano di più i personaggi concreti, come lei e l’ex presidente, che quelli sognatori, come il rivale e il povero premio Nobel per la pace. I due hanno però deciso di dare un taglio secco alle polemiche smorzando i toni in un dibattito televisivo. La Clinton non ha motivo di inimicarsi l’elettorato di colore, e Obama sa che dopo questo incidente il popolo afroamericano ora pende verso di lui. Meglio così. Per ora questa lotta è già entusiasmante grazie alle sue tre parole chiave, per la tensione c’è ancora tempo.

RICCARDO CANETTA

lunedì 3 dicembre 2007

Se volete fare un salto...

Ho fatto qualche domandina al caposervizio della pagina culturale del Corriere della Sera Pierluigi Panza sul mondo del giornalismo di oggi e di domani.
La trovate sul sito del periodico
Orizzonte Universitario:

mercoledì 7 novembre 2007

Colui che sa tacere, sa anche parlare a tempo (Niccolò Tommaseo)

"Certamente l'esistenza umana sarebbe molto più felice se negli uomini la capacità di tacere fosse pari a quella di parlare. Ma l'esperienza insegna fin troppo bene che gli uomini non governano nulla con maggiore difficoltà che la lingua". (Baruch Benedetto Spinoza)

"Al di là delle vicende che ci hanno qualche volta diviso, rendo omaggio a uno dei protagonisti del giornalismo italiano cui sono stato per lungo tempo legato da un rapporto di cordialità che nasceva dalla stima"
(Silvio Berlusconi, 6 novembre 2007).
Come si fa, signor Berlusconi, a stimare uno di quelli che ha fatto "della televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, un uso criminoso" (Silvio Berlusconi, 18 aprile 2002)?



martedì 6 novembre 2007

La morte di un fuoriclasse

Fino a questa mattina, rispondere a questa domanda non era difficile: chi è il più grande giornalista italiano? Il primo nome che sarebbe subito piombato in mente sia a coloro che acquistano tre quotidiani al giorno, sia a coloro che non ne sfogliano mezzo, sarebbe stato quello di Enzo Biagi. Adesso la risposta non è più così immediata. Non perchè dietro Biagi ci sia solo ed unicamente feccia. Anche, ma non solo. Bensì perchè Biagi non può essere paragonato con nessun altro giornalista in vita. Ha vissuto le incredibili vicende di un secolo che ha amato molto, ed ha avuto il merito di raccontarle con lo stile di un inconfondibile fuoriclasse. Con lui se ne va un pezzo di storia, un pezzo pregiato di cui molti sentiranno la mancanza. Ha iniziato a scrivere a 17 anni Biagi, erano gli anni Trenta, era tutta un'altra Italia. Ha vissuto da protagonista il periodo buio del fascismo, al quale si è ribellato combattendo da partigiano. Fu proprio lui, il 21 aprile del 1945, ad annunciare alla radio la fine della guerra. Negli anni successivi Enzo Biagi scriverà per le principali testate nazionali e lavorerà in televisione dirigendo, fra l'altro, il Tg1. Il suo talento ed il suo stile gli permetteranno di brillare come nessuno sia con la penna in mano, sia negli schermi degli italiani. I più giovani lo ricordano soprattutto per il suo "fatto", trasmissione che resterà nella storia della nostra televisione. Un patrimonio nazionale Biagi; ha vissuto da protagonista gli eventi chiave del Novecento, basti guardare le foto che lo ritraggono a colloquio con personaggi come Bob Kennedy, la Thatcher, Arafat, Gorbaciov, Spadolini ma anche Dalla Chiesa, Montale, Agnelli, Allen e tanti altri. Un talento ed una storia unica alle spalle che non gli hanno impedito però di essere cacciato dalla Rai come il più insignificante dei redattori. Era il 2002, era l'editto Bulgaro, era Berlusconi, che dopo essersi scontrato, guardacaso, con l'altro maestro del giornalismo, Montanelli, chiede che Biagi sia spedito a casa. E, cosa più vergognosa, la Rai risponde "obbedisco". Dopo 700 puntate Il Fatto chiude per sempre i battenti, con Biagi che innanzi a tale ingiustizia dichiara: "meglio essere cacciati per aver detto qualche verità che accettare compromessi". Tornerà in tv solo nel 2007, stupendo coloro che ormai temevano non vi fosse più spazio per il giornalismo di Biagi in un panorama di tette-culi-pallone non stop. Il resto è storia di questi giorni, di oggi, di questa mattina. Enzo Biagi è morto. E' morto un uomo che Napolitano ha giustamente definito "una voce libera". E' morto un uomo di ispirazione socialista capace però di dichiarare "si può essere a sinistra di tutto, ma non del buon senso". E' morto un uomo che resterà nella storia del giornalismo per come ha saputo interpretare la sua professione. Amandola, innanzitutto: "avremmo fatto questo mestiere anche se non ci avessere pagato, ma per favore, non facciamolo sapere". E' morto un fuoriclasse.

lunedì 5 novembre 2007

Tutti per uno

Che sia ben chiaro. Nicolau Mailat, il romeno che la scorsa settimana ha barbaramente ammazzato Giovanna Reggiani, è un criminale schifoso ed ingiustificabile. Non appena appresa la notizia di quanto accaduto a Tor di Quinto, in molti se avessero potuto avrebbero strappato dal petto il cuore del carnefice. A mente fredda, però, è chiaro che Mailat dovrà essere punito diversamente, poichè si tratta un essere umano, pur essendo, permettetemelo, un uomo di merda. Giustissimo gettare la chiave della sua cella, giustissimo rispedire in patria i romeni o, più in generale, gli stranieri seriamente pericolosi per i cittadini italiani, giustissimo varare un pacchetto sicurezza rigoroso. Fin qui tutto corretto. Quello che non è però corretto è lasciarsi offuscare la mente dall'odio generato da quanto accaduto ad una povera donna che poteva essere nostra madre, o nostra sorella, o nostra figlia. L'assassino è un romeno, è un rom, ma questo non significa che ogni suo connazionale sia fatto della stessa, indecorosa, pasta. Va bene, benissimo, cacciare i criminali. Ma il calcio in culo va tirato a chi davvero lo merita. Se un romeno ammazza un italiano, ammazzare un romeno non migliorerà la situazione. Le spedizioni punitive contro dei rom che non hanno nulla a che fare con Mailat rappresentano una folle forma di squadrismo che risponde all'equazione romeno = criminale che rischia di colpire dei poveri stranieri che si spaccano la schiena lavorando dodici ore al giorno per sfamare i figli. E' vero che Mailat non è stato nè l'unico straniero nè l'unico romeno a macchiarsi le mani di sangue. Ma ciò non vuol dire che tutti i romeni che raggiungono l'Italia sono dei criminali. Non dimentichiamoci che a dare l'allarme di quanto accaduto a Tor di Quinto è stata una donna romena. Atto di civiltà che si affianca a quello di umanità compiuto da un immigrato romeno che, donando gli organi della moglie defunta, ha aiutato tre siciliani. Ed è la terza donazione in pochi mesi da parte di romeni, fanno sapere da Palermo. Che i criminali vadano puniti severamente è opinione condivisa dallo stesso governo e dai cittadini romeni. Gli abitanti del villaggio dove nacque Mailat ripudiano il loro connazionale, gli danno della bestia, del bastardo. Affermano di essere solidali con l'Italia e di non voler pagare perchè uno di loro si è macchiato di un delitto terribile. Della stessa opinione è anche l'ex numero uno del mondo di tennis Ilie Nastase, nato a Bucarest, che per punire gli assassini come Mailat, si dichiara favorevole alla pena di morte. Troppo facile allora fare di tutta l'erba un fascio ed incoraggiare la caccia al romeno. Meno semplice ma molto più corretto saper valutare i diversi casi ed intervenire con prontezza e severità qualora ve ne sia motivo. Basta trasformare la rabbia in xenofobia. Chiudo ponendo un quesito. Del caso di Tor di Quinto si è parlato a lungo, perchè è un evento che suscita orrore e clamore. Stessa cosa è accaduto tempo fa per altri omocidi ormai a tutti ben noti, vedi la strage di Erba, vedi l'assassionio di Garlasco. Mi spiegate perchè davanti ai corpi di un'intera famiglia straziati, si è reagito diversamente? O, per fare un triste esempio più facilmente paragonabile all'omicidio di settimana scorsa, mi spiegate che differenza c'è tra l'uccisione di Chiara Poggi e quella di Giovanna Reggiani? Si tratta di due povere donne crudelmente ammazzate. Due donne la cui vita è stata stroncata da un criminale. Due donne con amici e parenti che piangono ancora la loro assurda scomparsa. C'è però una grande differenza: tutti i romeni sono degli sporchi criminali che meriterebbero il cappio, mentre gli italiani no. Perchè?

mercoledì 31 ottobre 2007

Musica Maestro! R.E.M.

Il blog si è preso una pausa per motivi di pigrizia. Torno con una bella canzone e con l'augurio di trascorrere un ponte sereno.

R
.E.M. - Everybody hurts
Tratto da un concerto del 2003, live da Wiesbaden, Germania, uno dei brani più noti degli americani R.E.M., con una grande esibizione di Michael Stipe.

martedì 23 ottobre 2007

Musica Maestro! QUEEN

"Informazione non è conoscenza, conoscenza non è saggezza, saggezza non è verità, verità non è bellezza, bellezza non è amore, amore non è musica. La musica è il meglio" (Frank Zappa).
E allora, a partire da oggi, ogni settimana un brano eseguito dal vivo.

Queen - We are the champions
Cominciamo con una delle canzoni più conosciute al mondo. Ogni volta che si verifica un successo in ambito sportivo, le sue note scatenano i tifosi. Lo stesso Freddie Mercury ne scrisse il testo pensando a qualcosa che unisse i fan di una squadra. Il video è estratto dal celeberrimo concerto di Wembley '86, dove è stata eseguita come ultima canzone. Fantastica!

sabato 20 ottobre 2007

Ma cos'è questa boiata?

Per tutti coloro che se lo fossero perso, copio-incollo il post apparso ieri sul blog di Beppe Grillo. E' molto interessante, soprattutto per coloro che possiedono un blog.

"La legge Levi-Prodi e la fine della Rete
Ricardo Franco Levi, braccio destro di Prodi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha scritto un testo per tappare la bocca a Internet. Il disegno di legge è stato approvato in Consiglio dei ministri il 12 ottobre. Nessun ministro si è dissociato. Sul bavaglio all’informazione sotto sotto questi sono tutti d’accordo.
La legge Levi-Prodi prevede che chiunque abbia un blog o un sito debba registrarlo al ROC, un registro dell’Autorità delle Comunicazioni, produrre dei certificati, pagare un bollo, anche se fa informazione senza fini di lucro.
I blog nascono ogni secondo, chiunque può aprirne uno senza problemi e scrivere i suoi pensieri, pubblicare foto e video.
L’iter proposto da Levi limita, di fatto, l’accesso alla Rete.
Quale ragazzo si sottoporrebbe a questo iter per creare un blog?
La legge Levi-Prodi obbliga chiunque abbia un sito o un blog a dotarsi di una società editrice direttore responsabile e ad avere un giornalista iscritto all’albo come direttore responsabile.

Il 99% chiuderebbe.
Il fortunato 1% della Rete rimasto in vita, per la legge Levi-Prodi, risponderebbe in caso di reato di omesso controllo su contenuti diffamatori ai sensi degli articoli 57 e 57 bis del codice penale. In pratica galera quasi sicura.
Il disegno di legge Levi-Prodi deve essere approvato dal Parlamento. Levi interrogato su che fine farà il blog di Beppe Grillo risponde da perfetto paraculo prodiano: “Non spetta al governo stabilirlo. Sarà l’Autorità per le Comunicazioni a indicare, con un suo regolamento, quali soggetti e quali imprese siano tenute alla registrazione. E il regolamento arriverà solo dopo che la legge sarà discussa e approvata dalle Camere”.
Prodi e Levi si riparano dietro a Parlamento e Autorità per le Comunicazioni, ma sono loro, e i ministri presenti al Consiglio dei ministri, i responsabili.
Se passa la legge sarà la fine della Rete in Italia.
Il mio blog non chiuderà, se sarò costretto mi trasferirò armi, bagagli e server in uno Stato democratico.

Ps: Chi volesse esprimere la sua opinione a Ricardo Franco Levi può inviargli una mail a : levi_r@camera.it
".

Ora, che il blog di Grillo in un modo o nell'altro sopravviverà è abbastanza certo. Ma che fine farà il mio blog? E che fine faranno i vostri blog?

venerdì 19 ottobre 2007

Gli effetti collaterali del Nobel

Dopo il giudice tedesco che alleggerisce la pena ad uno stupratore sardo perchè in Sardegna le donne le trattano sempre come bestie (vedi un paio di post più giù), ecco un'altra notizia a sfondo razzista. "I neri sono meno intelligenti dei bianchi". La sparata non porta la firma di un personaggio pubblico qualunque. Purtroppo la frase è da attribuire a James Watson, americano Premio Nobel per le sue scoperte sulla struttura del Dna. Ovviamente le critiche non sono mancate, anche da parte dei colleghi dello scienziato. La Nobel di casa nostra, Rita Levi Montalcini, si è detta indignata poichè, usando termini scientifici, intelligenza e genetica non c'entrano una mazza. La teoria di Watson non è sostenuta da nessuna dimostrazione scientifica ed è smentita, se ce ne fosse bisogno, da un esempio in carne ed ossa: Aubrey Morrison, professore della Washington University di Saint Louis, considerato uno degli uomini più intelligenti del globo. Il simpatico James ha ricevuto il Nobel 45 anni fa. Evidentemente dopo la premiazione deve aver ecceduto nei festeggiamenti, e gli effetti si sonoi fatti sentire nel corso degli anni. Il padre, ormai nonno, del Dna non è infatti nuovo a "perle di saggezza" di questo tipo. In passato dichiarò che una collega, i cui appunti risultarono fondamentali per le sue scoperte che gli valsero il Nobel, non ottenne il medesimo riconoscimento poichè era brutta. "L'aspetto fisico conta": la scientifica spiegazione di mr. Watson. Ma il Watson-pensiero che merita il gradino più alto del podio è stato concepito dieci anni fa. Lo scienziato affermò che se fosse possibile individuare i geni dell'omosessualità prima della nascita, "molte donne dovrebbero avere il diritto di abortire". In quella occasione la scientificissima spiegazione fu che le madri vogliono diventare nonne. Purtroppo non esiste ancora un test genetico del genere e non è possibile ammazzarli finchè sono nell'utero sti maledetti frociazzi. Neri, donne e omosessuali dunque le vittime dell'americano. Oggi Watson ha 79 anni, e se si dimostrerà longevo come la compagna di Nobel Montalcini, avrà davanti a sè ancora molti anni per sparare a zero su musulmani o cinesi eccetera eccetera. Cos'hanno che non va musulmani o cinesi? Io non lo so, non sono mica un Premio Nobel. Ce lo dirà lui, per lui la risposta sarà facile. Anzi, elementare, Watson.

mercoledì 17 ottobre 2007

Orgoglio di papà

Vi sarà capitato di vedere quei genitori che iscrivono i propri figli in qualche squadra con la morbosa speranza che un giorno diventino "qualcuno". Sono quelli che si presentano alla stadio belli eleganti e che passano tutta la partita ad insultare mamma, nonna e sorella dell'arbitro davanti alle orecchie di giocatori formato mini. Sono quelli che, se il proprio frugoletto non è autore di una prestazione da applausi, si precipitano fuori dallo spogliatoio pronti al cazziatone post-doccia che proseguirà durante il ritorno a casa. Sono quelli che fanculo lo stare insieme, il divertimento e compagnia bella, e viva un possibile contratto con qualche bello zeretto. Sono quelli che, quando ci capita di scovarli, ci fanno scuotere sconsolati la testa. Ma c'è chi non si accontenta, chi decide di fare le cose in grande, chi ci farebbe scuotere non solo il capo, ma ogni parte del corpo. C'è ed è in Cina. A nord di Shanghai, precisamente. L'esaltato di turno è il padre del piccolo Yank Kaiwang, otto anni, che per il figlio non ha pensato all'erba dei campi da calcio o al parquet di quelli di basket, bensì all'asfalto delle piste da corsa. Un sogno molto ambizioso quello di poter vedere un giorno il proprio ragazzo sfrecciare sui circuiti di Formula 1. Un sogno che nasce dalla grande passione che il papà ha sempre avuto per i motori. Nulla di male, ci mancherebbe, ad indirizzare il proprio figlio verso una strada che potrebbe rivelarsi quella giusta anche per il diretto interessato. Il problema sorge quando si eccede un po' troppo. Eccedere significa infilare il proprio figlio in una mini auto prima ancora che questo abbia mosso il primo passo. Eccedere significa consentire al proprio figlio di girare per il quartiere a bordo della sua automobilina dall'età di quattro anni. Possibile che la polizia non lo abbia beccato? Certo che lo ha fatto, ma Yank, a detta dei genitori, è l'idolo locale, quindi i poliziotti chiudono un occhio senza problemi. Per consentire al figlio di correre sui go-kart, il signor Kaiwang ha speso sino ad oggi ben 50 mila euro, ed è disposto ad invesirne 500 mila. La mancanza di limiti ai suoi desideri è quindi data anche dal proprio portafoglio, se si considera che soltanto il casco e la tuta del giovane pilota hanno un prezzo pari allo stipendio annuo di un lavoratore cinese medio. D'altronde se uno i soldi li ha, che male c'è a sborsarli? Nessuno, se sono spesi per la felicità del bambino. Il problema è che la passione per i bolidi l'ha sempre avuta il babbo, non il bimbo, ad insistere ad andare a correre in pista è il padre, non il bimbo. Forse Yank vorrebbe divertirsi come fanno i suoi coetanei meni abbienti. Forse vorrebbe vivere come fanno gli altri bambini della sua età, cioè a casa propria con mamma e papà. Ed invece il ragazzino durante la settimana è scaricato in un'altra casa dove viene accudito da una coppia affittata dai genitori, troppo indaffarati dal lavoro per curare il loro pilotino con gli occhi a mandorla.
Quando vi capiterà di incontrare qualche genitore esaltato seguire in stile ultras la partita del figlio, raccontate loro la storia che avete appena letto. Forse, imbrazzati poichè non possono reggere il confronto, chiuderanno la bocca, per la gioia dei presenti. Gli altri spettatori vi ringrazieranno. E loro figlio pure.