venerdì 18 gennaio 2008

2 righe


Come i più arguti tra i lettori (rimasti) avranno notato, non aggiorno più il blog da un pezzo. Tra esami universitari (pochi) e scazzo (tanto), ho messo da parte il blog per ora. Continuo comunque a scrivacchiare sul periodico della Statale di Milano Orizzonte universitario, e sul relativo sito. Se ogni tanto date un'occhiata al sito... grazie! In questo periodo mi occuperò in particolare delle interessanti primarie americane, come nel pezzo sottostante. Un saluto a tutti i blogger che passano ancora di qui!
A presto,
l'intruso

Le parole chiave delle primarie 2008

Novità
Eh sì, perché per notare che tra i candidati (democratici) ci sono un paio di novità assolute rispetto al passato, non occorre studiarne i programmi o ascoltarne i discorsi; basta uno sguardo. Hillary Rodham Clinton: donna. Barack Hussein Obama jr: nero. Un candidato di sesso femminile e un candidato di colore: se uno dei due arrivasse allo studio ovale, sarebbe la prima volta nella storia degli Stati Uniti. Soltanto una curiosità? Insomma. Perché se è vero che il fascino che suscita l’idea di avere finalmente un presidente woman o un presidente balck è grande, è indiscutibile che l’America non si baserà su sesso o colore per scegliere in quali mani consegnare il proprio paese. Non bisogna però sottovalutare il fatto che, in caso di incertezza, gli elettori potrebbero farsi “condizionare” anche da questi fattori. Non a caso di recente Hillary e Barack hanno fatto a cazzotti discutendo su Martin Luther King, personaggio ovviamente carissimo all’elettorato di colore. E bisogna anche ricordare che molti critici e osservatori hanno attribuito l’inaspettato successo dell’ex first lady in New Hampshire alle lacrime versate davanti alle telecamere, che avrebbero conquistato il voto di molte donne colpite dal lato femminile finalmente manifestato dalla candidata di ferro. Non sappiamo se sia effettivamente così, così come non sapremo mai se le lacrime fossero spontanee oppure architettate, come qualche opinionista ha ipotizzato. In quel caso la Clinton dovrebbe candidarsi per l’Oscar piuttosto che per la presidenza.
Sotto la voce “novità” non compaiono candidati repubblicani, perché lì di donne o neri non se ne vedono manco col binocolo.
Cambiamento
Change, change, change. La parole d’ordine della campagna elettorale è questa: cambiamento. Il primo a usarla è stato lo sbarbatello Obama dopo aver vinto in Iowa. Subito dopo però tutti i candidati, sia democratici che repubblicani, se ne sono impossessati. E allora via con una pioggia, anzi una cascata di “change” in tutti i discorsi. Effettivamente dopo il doppio mandato bushiano, la voglia di voltare pagina serpeggia tra l’american people. Il candidato che sa usare meglio però questa parola rimane Barack, personaggio accompagnato da un’aurea di freschezza cristallina e aiutato dall’anagrafe. Sulla sponda repubblicana, nessuno sembra reggere il confronto col rivale democratico in materia di cambiamento, sebbene Mitt Romney dopo l’esordio trionfante di Obama non faccia altro che ripetere “change, change, change”, qualcuno dice anche durante il sonno. Ma nemmeno la collega democratica sembra poter intaccare la leadership dell’abbronzato rivale. Se dici Clinton, come fai a non ricollegarti al passato, alla politica tradizionale, ai soliti noti? Appunto.
Imprevedibilità
Durante questa prima fase delle primarie, i sondaggi, e, di riflesso, i media, non ne hanno azzeccata mezza. Hillary favorita in Iowa? Zac! Obama vince davanti a Edwards e la Clinton è solo terza. E vabbè, allora Barack trionferà anche in New Hampshire. Come no! vince la signora. E in campo repubblicano non va meglio: i favoriti dovevano essere Romney e Giuliani. E invece il primo si è salvato grazie al successo nel terzo round, e il secondo ha finora ottenuto meno punti percentuali del nostro partito pensionati.
Tensione (scampata)
Alle tre parole chiave sopra citate se ne sarebbe potuta aggiungere una quarta: tensione. Qualche giorno fa infatti una dichiarazione poco felice della Clinton aveva fatto infuriare la comunità nera. L’ex first lady aveva dichiarato che il sogno di M.L. King si è realizzato grazie all’ex presidente Lyndon Johnson. Insomma, come dire che Johnson fece più di King, che contano di più i personaggi concreti, come lei e l’ex presidente, che quelli sognatori, come il rivale e il povero premio Nobel per la pace. I due hanno però deciso di dare un taglio secco alle polemiche smorzando i toni in un dibattito televisivo. La Clinton non ha motivo di inimicarsi l’elettorato di colore, e Obama sa che dopo questo incidente il popolo afroamericano ora pende verso di lui. Meglio così. Per ora questa lotta è già entusiasmante grazie alle sue tre parole chiave, per la tensione c’è ancora tempo.

RICCARDO CANETTA